categorie: libri: istruzioni per l’uso

Un piccolo appena nato

Guida minuscola per chi non ne sa nulla :)

La versione di carta sarà distribuita nelle biblioteche della Provincia di Roma.
Per tutti coloro a cui piace il pdf, questa è pronta da scaricare.

L’opuscolo, realizzato nell’ambito del Progetto di collaborazione
tra Università di Roma Tor Vergata e Provincia di Roma
per la promozione della lettura e il superamento del digital divide
,
è stato presentato nel corso del Seminario di cui trovate riferimenti e slide nel sito del Corso di Laurea Magistrale in Scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria.

Una prima bibliografia per i mestieri dell’editoria

Sabato 23 febbraio ho partecipato al primo degli otto incontri del corso “di sopravvivenza editoriale” Aspetta primavera, stronzo organizzato dall’Agenzia letteraria Vicolo Cannery, un’iniziativa che provocatoriamente mette i piedi nel piatto della moltiplicazione di corsi a tema editoria. Ne condivido intenti e organizzazione e ringrazio per l’invito che mi è stato rivolto.

[Update: per chi non ha partecipato agli incontri già svolti, @rivista_flaneri, li ha raccontati con il live tweeting e realizzato gli storify che trovate qui.]

Oltre a sproloquiare sugli argomenti di cui mi occupo da anni, come il mercato editoriale e le perversioni che lo contraddistinguono, specialmente in Italia, mi sono detta che un buon contributo sarebbe stato di proporre agli aspiranti redattori-editor-ufficistampa una piccola lista di testi di riferimento che ritengo importanti per iniziare a conoscere il mondo editoriale dei libri, italiano e non solo.
Si tratta di un inizio di bibliografia, affatto esaustivo, che mi auguro verrà accresciuto presto con il contributo di tanti, a partire dai commenti a questo post e dalle ulteriori informazioni che io stessa mi impegno a sistemare nei prossimi mesi. Mi sono limitata a lavori nati in italiano o tradotti nella nostra lingua: una prima opera di revisione la effettuerò con l’integrazione dei testi fondamentali disponibili in altre lingue.
Molti dei testi della lista sono presenti nella mia libreria su Anobii, dove se ne trovano anche diversi altri, utili ad approfondire aspetti specifici, ad esempio l’editoria digitale.

Presentando questo “seme” di bibliografia, ho suddiviso le opere per temi; si tratta di una suddivisione arbitraria, di comodo, utile alla necessità di orientare lettrici e lettori che incontrano per la prima volta tali argomenti. Anche tale organizzazione mi auguro verrà migliorata con il contributo di molti (ad esempio, con indispensabili integrazioni sulla grafica editoriale).
Diversi tra gli autori citati hanno dedicato ricerche, saggi e volumi ulteriori oltre quelli elencati qui; tra questi Gian Carlo Ferretti, André Schiffrin, Giovanni Ragone, Alberto Cadioli, dei quali consiglio di esplorare le intere bibliografie. Nei casi in cui il testo sia disponibile gratuitamente on line, in tutto o in parte, ho inserito il link. Non ho inserito, ma sono certa la lacuna verrà presto colmata, libri ed ebook pubblicati di recente e firmati da editori come Sandro Ferri, Marco Cassini e altri.

***

Un primo blocco può essere costituito dai testi letterari, moltissimi. Ho scelto, per iniziare, da tre libri di Luciano Bianciardi che insieme costituiscono una sorta di trilogia. Sono tre libri a mio parere fondamentali per comprendere organizzazione e meccanismi di funzionamento dell’industria culturale in Italia, mettendo al centro il corpo vivo di coloro che lavorano in questo settore.

  • Luciano Bianciardi, 1960, L’integrazione, Milano, Feltrinelli.
  • Luciano Bianciardi, 1962, La vita agra, Milano, Feltrinelli.
  • Luciano Bianciardi, 1964 (prima ed. 1957), Il lavoro culturale, nuova edizione con un ripensamento, Milano, Feltrinelli.

Un secondo gruppo di testi è dedicato alle ricognizioni storiche e storico critiche sull’editoria italiana e internazionale.

  • Alberto Cadioli, 2003, Letterati editori. L’industria culturale come progetto, Milano, Net.
  • Robert Darnton, 2009, The Case for Books. Past, Present, and Future, tr. it. 2011, Il futuro del libro, Milano, Adelphi.
  • Elisabeth Eisenstein, 2005 (sec. ed.), The printing revolution in early modern Europe, Cambridge (UK)-New York, Cambridge University Press, trad. it. 2011, Le rivoluzioni del libro. L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna, Bologna, il Mulino.
  • Gian Carlo Ferretti, 2004, Storia dell’editoria letteraria in Italia 1945-2003, Torino, Einaudi.
  • Giovanni Ragone, 2009, Classici dietro le quinte, Storie di libri e di editori, da Dante a Pasolini, Roma-Bari, Laterza.
  • André Schiffrin, 1999, L’Édition sans éditeurs, Paris, La Fabrique; tr. it. 2000, Editoria senza editori, Bollati Boringhieri.
  • Giuliano Vigini, 2004, L’editoria in tasca, Milano, Editrice bibliografica (vedi anche i Rapporti e i volumi di Storia dell’editoria).

Un terzo insieme è formato da biografie, autobiografie ed epistolari: lavori che raccolgono testimonianze preziose dei protagonisti dell’editoria italiana del Novecento.

  • Italo Calvino, Carlo Fruttero, 1991, a cura di Giovanni Tesio e Carlo Fruttero, I libri degli altri, Torino, Einaudi.
  • Italo Calvino, 1993, a cura di Luca Clerici e Bruno Falcetto, Calvino e l’editoria, Milano, Marcos y Marcos.
  • Severino Cesari, 1991, Colloquio con Giulio Einaudi, Torino, Einaudi.
  • Grazia Cherchi, 1997, Scompartimento per lettori taciturni: Articoli, ritratti, interviste, prefazione di Giovanni Giudici, introduzione di Piergiorgio Bellocchio, Milano, Feltrinelli.
  • Gian Carlo Ferretti, 1992, L’editore Vittorini, Torino, Einaudi.
  • Vito Laterza, 2002, Quale editore. Note di lavoro, Roma-Bari, Laterza.
  • Cesare Pavese, Silvia Savioli (a cura), 2008, Officina Einaudi. Lettere editoriali 1940-1950, Torino, Einaudi.
  • Cesare Pavese, Ernesto De Martino, 1991, La collana viola. Lettere 1945-50 (a cura di Pietro Angelini), Torino, Bollati Boringhieri.

C’è poi una porzione di testi dedicati alla critica dell’industria editoriale.

  • Andrea Cortellessa (a cura), 2007, Bibliodiversità, “Il verri”; n. 35, ottobre 2007, Milano, Monogramma.
  • AA.VV., 2012, La responsabilità dell’autore, ebook di Nazione indiana.
  • AA.VV., 2012, Alfalibro, supplemento speciale al n. 19 di alfabeta2, maggio 2012, in collaborazione con Generazione TQ.
  • :duepunti, 2012, Fare libri oggi 2.0. Essere editori oggi, Palermo, :duepunti.
  • Generazione TQ, 2011, Manifesto sull’editoria.
  • Osservatorio degli editori indipendenti, 2012, Manifesto.
  • Domenico Scarpa, 2011, “Il plusvalore di un libro ben fatto“, in AA.VV. 2011, Dove siamo, Palermo, :duepunti.

Sul diritto d’autore e la sua necessaria evoluzione alla luce della diffusione delle tecnologie digitali, consiglio di iniziare da questo breve testo e quindi di seguire, per esempio, il dibattito svolto in rete dalla comunità che si raccoglie attorno alle Licenze Creative Commons.

  • Cory Doctorow, 2008, Content: Selected Essays on Technology, Creativity, Copyright, and the Future of the Future; tr. it. 2010, Content, Milano, Apogeo.

In una rassegna a uso di potenziali lavoratrici e lavoratori del settore editoriale non possono mancare i manuali. Ne ho scelti pochissimi, ma preciso che chiunque intenda lavorare in questo ambito si troverà a consultare costantemente dizionari, enciclopedie, vocabolari e manuali di stile, di carta o di bit (Luisa Carrada, nel sito Mestiere di scrivere, ad esempio, ha scritto o raccolto alcune guide utili).

  • Paola Dubini, 1997 (seconda ed. aggiornata e ampliata 2001), Voltare pagina. Economia e gestione strategica nel settore dell’editoria libraria, Milano, Etas.
  • Enrico Mistretta, 2006, L’editoria. Un’industria dell’artigianato, Bologna, il Mulino (vedi anche Dario Moretti – Il lavoro editoriale, Oliviero Ponte di Pino – I mestieri del libro e altri).
  • Mariuccia Teroni, 2007, Manuale di redazione, Milano, Apogeo.

Quando ci concentriamo sulle forme della scrittura e il funzionamento della macchina editoriale, non possiamo dimenticare per chi scriviamo e lavoriamo; per questo è utile una ricognizione sulle dimensioni e le forme della lettura in Italia, e sui diritti dei lettori.

  • Antonella Agnoli, 2009, Le piazze del sapere. Biblioteche e libertà, Roma-Bari, Laterza.
  • Tullio De Mauro, 2013 (nuova edizione), La cultura degli italiani, Roma-Bari, Laterza.
  • Finzioni, 2011, Il libretto rosa di Finzioni.
  • Giovanni Solimine, 2011, L’Italia che legge, Roma-Bari, Laterza.

Le teorie e le pratiche della traduzione hanno dato luogo, negli ultimi anni, alla nascita di scuole, corsi, pubblicazioni e iniziative di associazione dei traduttori editoriali. Il consiglio è quindi di seguire, anzitutto, quanto si produce all’interno dei Translation Studies e partire con due letture che offrono una cornice alle maggiori discussioni nel settore.

  • Franco Fortini, 2011, Lezioni sulla traduzione, Macerata, Quodlibet.
  • Lawrence Venuti, 2004, The Translator’s Invisibility, New York, Routledge.

Un ultimo nucleo di testi riguarda qualche spunto per iniziare a ragionare di editoria digitale.

Tra le risorse importanti cui fare riferimento vi sono riviste, blog e magazine on line. Inizio segnalando quelli, italiani, che considero fondamentali.

  • alfabeta2
  • doppiozero
  • giap
  • il lavoro culturale
  • l’indice dei libri
  • le parole e le cose
  • lipperatura
  • minima et moralia
  • nazione indiana
  • rete dei redattori precari
  • scrittori in causa
  • tropico del libro

Infine, per non farci mancare nulla, sarebbe utile raccogliere video e documentari. Inizio segnalandone due.

  • Luca Archibugi, Andrea Cortellessa, 2010, Senza scrittori, Produzione Rai cinema.
  • Ben Lewis, 2012, Google and the World brain, Polar Star Films & BLTV.

Alfabetizzazione digitale (ad uso delle biblioteche)

In questo periodo mi sto occupando di biblioteche, cercando di contribuire al passaggio verso il digitale che tali presidi della lettura stanno compiendo.

In particolare, nell’ambito del Progetto di ricerca, formazione e intervento sui temi della promozione della lettura, per il superamento del digital divide promosso dalla Provincia di Roma e dal Corso di Laurea Magistrale in Scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria, ho realizzato tre seminari rivolti ai bibliotecari della Provincia di Roma.

L’8 dicembre, durante la Fiera Nazionale della piccola e media editoria “Più libri, più liberi” si è svolta la presentazione del progetto e seguendo i link potete trovare l’intervento di Claudia Berni, Lettura digitale e superamento del digital divide: il contributo delle biblioteche del territorio provinciale e le slide di Francesca Vannucchi, Indagine sulla presenza di eBook e di digital lending nelle Biblioteche della Provincia di Roma. Anno 2012 e mie, Promozione della lettura e superamento del digital divide: attività di formazione.

In fondo all’articolo trovate le tre serie di slide che hanno accompagnato i tre seminari e che a breve saranno disponibili anche sul sito del Sistema Bibliotecario della Provincia di Roma.

A conclusione dell’attività formativa (ora ci saranno tre workshop nelle biblioteche sugli ebook, aperti a tutti) tenterò un bilancio dell’iniziativa.

1/3. Lettura digitale, ebook e supporti per la lettura; gli scenari della lettura digitale

2/3. Digitalizzazione: quali strategie; digital lending: come scegliere

 

3/3. Comunicare la biblioteca on line: le risorse digitali sono fatte per viaggiare

Mal di libri e gli ebook

Ieri, nell’ambito di Mal di libri, ho condotto un laboratorio di alfabetizzazione agli ebook presso la Biblioteca Mameli del Pigneto.

Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato, con curiosità e attenzione, e la Biblioteca Mameli per l’ospitalità.

Queste sono le slide che ho utilizzato:

 

Quanto costa fare i libri, di carta e di bit?

Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su Alfalibro – supplemento speciale al n. 19 di alfabeta2, maggio 2012 (realizzato in collaborazione con Generazione TQ) con il titolo: Quanto costa il libro? Come si forma il prezzo, su carta e in digitale [update: ora il post è disponibile anche sul sito di alfabeta2].

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Tra le numerose analisi che pongono a confronto carta e digitale nella produzione libraria, è possibile tentarne una a partire dai conti economici che reggono i due sistemi: consolidato da una lunga esperienza il primo, ancora oggetto di timide sperimentazioni il secondo, soprattutto in Italia.
Prendiamo ad esempio i costi di produzione di un libro di carta con un prezzo di copertina di 15 euro, del quale si sia effettuata una tiratura di 3.000 copie e del quale sia rientrato circa il 25% di copie in resa. L’esempio si discosta un po’ dalle medie soprattutto per comodità di calcolo, ma è possibile immaginare che siano molte le opere pubblicate a trovarsi nel caso illustrato1.

Senza entrare nel merito di ogni singola voce, i dati significativi sono:

  • i costi di raggiungimento dei punti vendita (distribuzione, promozione, librerie, gestione delle rese) assorbono circa il 62% del totale;
  • i costi fissi, sommati ai costi redazionali (che riguardano, in buona misura, il costo del lavoro e la fiscalità) rappresentano dal 15 al 28%;
  • i diritti d’autore si attestano intorno al 10%;
  • i costi di carta e stampa incidono per circa il 7%.

La somma di tali percentuali ci porta a un totale che oscilla tra l’84 e il 107%, cui sarebbe corretto aggiungere i costi derivanti dal ricorso al credito bancario (un 4% obbligato dai tempi estremamente lunghi di rientro dei costi di produzione)2 e gli eventuali costi di traduzione (un altro 8%).

Si arriva così al 96-119%. Ne consegue che il pareggio dei conti si raggiunge solo se:

  1. non si traduce o non si pagano le traduzioni;
  2. si riducono all’osso costi redazionali e fissi, esternalizzando e precarizzando funzioni;
  3. si può fare a meno di ricorrere al credito bancario.

Tre condizioni che, in tutta evidenza, non possono realizzarsi contestualmente per imprese editoriali attive, con una produzione dignitosa e che vivano delle risorse sviluppate dalla propria attività.

Le case editrici operano, quindi, in un regime di permanente incertezza, con margini pressoché inesistenti di guadagno e l’intera produzione (anche nei migliori dei casi) viene gioco forza finalizzata alla pubblicazione del bestseller in grado di abbattere i costi unitari di produzione e costituire il margine per finanziare il proseguimento dell’attività. L’inseguimento del best seller riguarda tutta la filiera: promuovere e movimentare grandi quantità di pochi titoli più venduti è di gran lunga più remunerativo che gestire informazioni e aggiornamento di un ampio catalogo di titoli poco richiesti. Un fenomeno che, con scale diverse, attraversa tanto il grande gruppo editoriale, che punta alle centinaia di migliaia di copie, quanto il piccolo editore, che si accontenta di poche migliaia: il processo attraverso il quale si mira alla costruzione del best seller è sempre più orientato da elementi estranei alla qualità dei singoli titoli (per esempio, la notorietà dell’autore in un campo qualsiasi, meglio se nello show business o nella politica3).

La ricetta per l’individuazione del best seller, però, è quanto mai oscura, e gli unici che vi si possono (e vogliono) applicare sistematicamente traendone vantaggio sono, ovviamente, i più forti sul mercato. Quattro o cinque grandi gruppi che in Italia (grazie alla latitanza di serie politiche antitrust in grado di vietare, o almeno limitare, i processi di concentrazione) controllano tutti gli snodi verticali della filiera e i maggiori marchi editoriali: case editrici, distribuzione, promozione, catene librarie e negozi on line, quotidiani e periodici, canali e produzioni radio, televisivi e cinematografici, su carta e on line.

I best seller, vale la pena ricordarlo, sono acquistati per lo più da coloro che comprano solo un libro all’anno, esclusi i testi scolastici: condurli all’acquisto, attraverso passaggi televisivi e massicce campagne pubblicitarie, significa assicurarsi la fetta più grossa del mercato: circa il 19% della popolazione maggiore di 14 anni4, una fetta assai più remunerativa di quella rappresentata dai lettori forti che cercano altri libri, sempre più spesso senza trovarli.

L’effetto più evidente e noto di tale organizzazione della filiera è l’iperproduzione, spesso segnata da una proposta standardizzata dove i cloni occupano lo spazio dell’attenzione e degli scaffali, penalizzando le pubblicazioni originali (per innovazione stilistica, argomenti trattati, enclave linguistiche di provenienza: in una parola, la bibliodiversità). Altro effetto, non meno perverso, è il ricorso sempre maggiore a “contributi alla pubblicazione” a monte del processo di produzione che, se in pochi casi è più che legittimo (per esempio, attraverso gli aiuti alla traduzione), in molti casi si configura, piuttosto, come editoria a pagamento (acquisto copie da parte di autori o committenti e simili), con relativo condizionamento e scadimento delle procedure selettive dei testi da pubblicare5.

Se rapportiamo i costi visti fin qui alla produzione di quello stesso libro in digitale, dovremo anzitutto ipotizzare un prezzo di copertina assai più basso, diciamo 5 euro, poiché la percezione del valore delle opere digitali è di gran lunga inferiore a quella del corrispettivo cartaceo6.

Così facendo potremo però attenderci un volume di vendite almeno pari alla tiratura effettuata per l’edizione su carta, 3.000 copie, purché siamo disposti a rispettare altre tre condizioni decisive:

  • l’assenza di sistemi di protezione che impediscano la facile gestione degli ebook;
  • un’adeguata conduzione dell’e-commerce;
  • una maggiore accuratezza nella produzione dei file digitali.

Tre condizioni che rappresenterebbero la più efficace dissuasione delle varie forme di circolazione illegale, come dimostrano analoghi modelli ormai affermati nel mercato musicale. In questo caso, gli elementi su cui soffermarsi sono:

  • i costi di raggiungimento dei punti vendita (distribuzione, promozione, librerie on line) assorbono il 36-50% del totale;
  • i costi fissi e redazionali, con il 14-25%, variano minimamente rispetto alla carta;
  • la percentuale riservata ai diritti d’autore si colloca in media al 20%, più o meno raddoppiando;
  • i costi di carta e stampa scompaiono (impaginazione e produzione del file digitale sono inclusi nei costi redazionali).

Ci si avvicina al pareggio dei costi con assai maggiore probabilità (70-95%), pur prevedendo traduzioni, elevati costi redazionali e fissi, buona distribuzione e promozione (anche i file vanno “accompagnati” presso le librerie on line e fatti conoscere ai lettori e qui si immagina che tale compito non venga delegato agli autori), ricorrendo minimamente al credito bancario.

Sembrerebbe che la pubblicazione digitale costituisca una strada per far tornare i conti assai più facilmente, e soprattutto per ottenere una più equa distribuzione dei costi e dei ricavi, con uno spostamento netto di risorse dalla vendita/distribuzione alla creazione/produzione. Quest’ultimo punto appare estremamente interessante; ci tornerò presto, cercando di dimostrare tale spostamento, per esempio guardando ai migliori casi di self-publishing.

Ma quali sono i problemi?

Il primo è rappresentato dalla necessità di vendere molte più copie per raggiungere i valori che oggi può consentire solo la carta, mantenendo in piedi organizzazioni modellate sui volumi del mercato cartaceo. Negli esempi citati, per raggiungere il fatturato realizzato dal volume di carta, 33.750 euro (2.250 cp x 15 euro), si dovranno vendere un numero almeno doppio di copie digitali (6.700 x 5 = 33.500). Non è detto che sia possibile, e gli effetti in comparti come l’informazione si mostrano già nella loro asprezza, anche in Paesi dove il digital divide è assai meno acuto che in Italia7 e un mercato per gli ebook si è già manifestato in modo maturo.

Il secondo è costituito dal progressivo imporsi, nel mercato dell’editoria digitale, di player globali con una forza nemmeno lontanamente paragonabile a quella dei maggiori gruppi editoriali nazionali: Amazon, Google, Apple non esprimono solo un dominio incontrastato delle tecnologie, inventano e abilitano a usi sempre più efficaci della diffusione dei contenuti (condivisione, partecipazione, co-creazione). Vederli solo come nemici, illudendosi di fermarli a colpi di vertenze legali (o con leggi, come la recente Levi, dai risultati dubbi e contraddittori8), potrà al massimo rinviare di qualche anno un processo inarrestabile, regalando loro un vantaggio che sarà arduo recuperare.

Il terzo riguarda l’organizzazione del lavoro, con mestieri che verranno progressivamente ridimensionati (tipografi, logistica) e altri che dovranno mutare. Per esempio, i redattori dovranno imparare a curare i testi nati nel e destinati al digitale, non pensare più solo alla pagina, ma alle diverse modalità di presentazione e lettura dei testi digitali; dovremo abituarci a considerare “lettura” contenuti multiformi non interpretati dai termini libro o ebook (piuttosto che ragionare per formati, sarebbe fecondo ragionare per ambienti nei quali vivono i contenuti: dall’analogico al digitale, non dal libro di carta all’ebook). Forse, come dobbiamo imparare altre lingue per comprendere forme diverse del pensiero, per esprimerci più efficacemente negli ambienti digitali dovremo studiare un po’ di codice. E soprattutto, editori, redattori e addetti ai lavori dovranno iniziare a leggere in digitale per comprendere bisogni e critiche dei lettori.

Questioni enormi, che però vale la pena di esplorare, in particolare per tutte le produzioni impossibili sulla carta a causa del numero ridotto di lettori che vengono messi in condizione di desiderarli: dal testo scientifico al volume di poesia, dalla riedizione di un fuori catalogo alla traduzione da una lingua poco diffusa. In tutti questi casi la pubblicazione digitale può rappresentare un’alternativa e può consentire di pubblicare opere che oggi non arrivano in libreria, favorendo il manifestarsi di un mercato editoriale digitale maturo in grado di offrire una parziale compensazione alle difficoltà del cartaceo. Più in generale, può incrociare il cambiamento che il digitale sta imprimendo alle abitudini di lettura e di scrittura, consentendo prove e sperimentazioni, reinventando il significato della parola libro9.

Può essere questa anche una strada per aumentare il numero dei lettori? Forse sì, poiché oggi sappiamo che si può estendere una platea (è avvenuto per la musica e per i video) proponendo una scelta ampia, in grado di stimolare lo sviluppo di interessi diversi, di avvicinarsi a tali gusti e di rendere progressivamente più esigenti i lettori.

Si tratta di un lavoro di medio e lungo termine, che non produrrà risultati immediati, e che si muove in una direzione opposta a quella di gran parte dell’attuale mercato dei libri10. Dovremo lavorare per facilitare la lettura in termini di moltiplicazione delle possibilità di accesso, non di semplificazione dei contenuti. Dovremo cercare di evitare che l’industria editoriale digitale, sommando ritardi e ignoranza, calchi i peggiori aspetti di quella tradizionale e sappia investire sulla qualità e sulla innovazione. Dovremo ripensare la funzione editoriale: restituendo valore ai processi di selezione dei contenuti, rendendo questi ultimi sociali e condivisi, tornando a studiare gli ambienti nei quali essi si producono.

  1. La media delle tirature per titolo, nel 2010, è stata di circa 3.340 copie e il prezzo medio di 20,5 euro; cfr. Statistiche sulla produzione e la lettura dei libri in Italia, Istat, 21 maggio 2012. []
  2. Per conoscere i dati effettivi di vendita di un titolo occorre attendere fino a un anno, per cui si producono fatturazioni “virtuali” che sovente vengono smentite da corposi rientri di rese. In altre parole, si avvia la finanziarizzazione dei processi di produzione. L’immissione sul mercato di un gran numero di titoli, soprattutto se gonfiati nel numero di copie distribuite (oltre a occupare il massimo spazio disponibile in libreria), consente di fatturare e di accedere al credito, pur sapendo che le rese obbligheranno, in un circolo vizioso e senza fine, a produrre e distribuire sempre di più per farvi fronte. Anche le giacenze di magazzino, pur se in larga misura destinate al macero, vengono mantenute per determinare una voce attiva di bilancio, sulla base della quale ottenere bilanci apparentemente più sani e quindi credito dalle banche. []
  3. Sempre interessanti, in proposito, le osservazioni di Andrew Wylie, fondatore e presidente della Wylie Agency, per esempio in questa recente intervista. []
  4. Sulla base dell’indagine L’Italia dei libri realizzata da Nielsen per conto del Centro per il libro e la lettura, gli acquirenti di almeno un libro nel 2011 sono stati il 44% della popolazione >14 anni; coloro che ne hanno acquistati almeno 3 equivalgono al 25%. []
  5. In tutti i casi un fenomeno da denunciare; nella letteratura scientifica in particolare, poiché penalizza la pubblicazione delle ricerche meritevoli, la possibilità di carriera accademica per i migliori studiosi, contribuendo alla riuscita dei ricercatori più ricchi o meglio “sostenuti”: una perversione che ha riflessi diretti sulla qualità dell’insegnamento universitario. []
  6. Non intendo soffermarmi qui sul dibattito in merito alla scarsa percezione del valore delle opere nella loro versione digitale; mi pare però opportuno sottolineare che andrebbe preso atto, una volta per tutte, di come il digitale muti completamente i rapporti e come la risposta non possa essere quella di ridurre i prezzi delle versioni digitali di appena un terzo, attirandosi le aspre critiche dei lettori. []
  7. L’analfabetismo digitale, sommato alle arretratezze culturali è fenomeno sul quale è urgente investire risorse in ogni ambito (istruzione, ricerca, imprese, PA): i ritardi sono di natura politica assai prima che tecnica e non andrebbero sottovalutati i continui tentativi di legiferare e disciplinare le libertà in rete, a partire dalle norme sul diritto d’autore. []
  8. Non penso sia in sé sbagliata l’idea di stabilire per legge un tetto agli sconti sui libri: penso che sia anacronistico farlo ora. []
  9. Trovo acutissime alcune recenti analisi di Gino Roncaglia al riguardo, in sintesi: la lettura sta cambiando e non possiamo limitarci a misurare lettori e acquirenti di libri per conoscere chi e cosa legge; il numero limitato di ebook disponibili e facilmente accessibili ostacola lettori che si orientano su diversi contenuti; tarda a manifestarsi un mercato editoriale digitale maturo che possa rappresentare una parziale compensazione alle difficoltà del cartaceo. L’articolo, pubblicato originariamente su Nazione indiana, è ora disponibile anche in ebook, con integrazioni. []
  10. Ma qualche passo avanti, anche se molto timido, si sta compiendo: per esempio, a Editech 2012, dove finalmente si è iniziato a riflettere in altro modo sul digitale. []

Insegnare (e dire e fare) nel digitale

Sono molti ormai gli studenti universitari abituati a studiare su una varietà di testi e documenti in formato digitale:

  • dispense o presentazioni prodotte dai docenti in formato pdf e caricate su archivi dell’università, su depositi on line come Dropbox o su servizi di condivisione come Slideshare e Google doc, sui blog degli stessi docenti;
  • ebook in formato epub, se disponibili, gratuiti o a pagamento;
  • articoli e post reperibili su riviste on line, siti e blog;
  • registrazioni audio/video, quelle autoprodotte durante le lezioni e riascoltate in forma di mp3 con i propri computer e lettori, quelle messe a volte a disposizione dagli stessi docenti, quelle reperibili in rete.

Tali materiali, se le condizioni legali dei documenti lo consentono, vengono scambiati in una varietà di modi ancora più ampia: dalla vecchia fotocopia alla copia dei file attraverso chiavi usb, alla condivisione su Facebook, fino al deposito su qualche Torrent.

Una parte degli studenti universitari italiani, cioè, vive già immersa in un contesto nel quale tanti materiali dedicati allo studio sono prodotti e reperibili in formato digitale (per non parlare di tutto il resto: dai contenuti informativi a quelli di intrattenimento, dai social network ai videogiochi). Tra questi, i contenuti testuali, oltre a essere maggioritari, vengono fruiti per lo più da computer (si tratta in gran parte di file pdf), a volte con smartphone, raramente su tablet o ereader. Ma tutte queste risorse, anche quando reperibili in formato digitale, di frequente vengono stampate su carta per essere studiate, e la prevalenza della carta (dei libri, in questo caso) sembra emergere anche da una recente indagine dell’Aie che, su un campione di 2.196 studenti, attesta l’utilizzo dei manuali tradizionali per l’81,4%, di testi on line per il 30,9%, di ebook per il 19,9%. Un inizio di convivenza, nel quale la carta svolge ancora un ruolo dominante.

Si tratta di una preferenza che, sommata alla dichiarata abitudine di stampare su carta per studiare, risponde assai probabilmente alla scarsa diffusione in Italia di device dedicati alla lettura lean back (comodamente possibile ovunque: in poltrona, nel tram o sul wc, che ancora associamo al libro di carta), ma a mio parere anche all’assenza di ambienti autorevoli e familiari in cui essere sicuri di reperire e ritrovare le informazioni e i contenuti che ci sono necessari.

Scarichiamo, copiamo, installiamo, accumuliamo, come e più di quanto abbiamo fatto e facciamo con i libri di carta. Lo fanno soprattutto coloro tra noi che non hanno una consuetudine con il prestito dei libri (di carta) in biblioteca, ma ci dedichiamo a quest’opera di accumulo un po’ tutti e per diverse ragioni:

  • la percezione che i materiali digitali (ancorché duplicabili all’infinito) siano sommamente volatili e non vi siano sufficienti garanzie di reperirli nello stesso posto a distanza di tempo;
  • la necessità di leggere off line testi lunghi (in proposito riscontro varie soluzioni, dal brutale copia/incolla di articoli on line in documenti di testo – facilmente perdendone le qualità ipertestuali – all’uso di strumenti evoluti come Instapaper);
  • il puro piacere di possedere l’oggetto, per quanto immateriale.

Questa gigantesca opera di accumulo (giga e giga di dati che riempiono hard disk interni ed esterni, chiavette e nuvole di archivi) risponde anche all’assenza di luoghi digitali in grado di trasmettere la sensazione che procura percorrere con lo sguardo la propria libreria (o anche una biblioteca a lungo frequentata e familiare) e rassicurarsi, solo vedendola, di potervi attingere in qualunque momento.

Progetti come Internet Archive, Google Libri, Europeana, o la molto attesa Digital Public Library of America tenacemente voluta da Robert Darnton, per quanto grandi e solidi, non riescono ancora a restituire quel legame con un sapere stratificato nel tempo che ha nei libri di carta, da oltre cinque secoli nella forma più vicina all’oggetto che ancora teniamo in mano, il suo modello e campione.

Che c’entra tutto questo con l’insegnamento? C’entra perché, a maggior ragione in culture, come la nostra, nelle quali il sapere è stato visto più come qualcosa da trasmettere, che come occasione per creare una conoscenza critica condivisa (ovvero, quest’ultima si è formata comunque, ma in ambiti relativamente elitari), è grande lo smarrimento provocato dall’apparente assenza di luoghi deputati a sancire pertinenza e autorevolezza. Uno smarrimento che non riguarda solo coloro che su quel sapere hanno costruito propri poteri e privilegi (legittimi o usurpati), ma anche chi, dovendo abbeverarsi, si lasciava guidare senza timori alla fonte pura, secondo percorsi consolidati e pratiche rigorose (non sempre lineari e trasparenti, però).

Qualche giorno fa ho appreso che la Biblioteca Centrale del CNR (luogo deputato, in Italia, al deposito legale delle pubblicazioni tecnico-scientifiche e Centro di documentazione delle Istituzioni dell’Unione Europea) dal 1961 ha il proprio deposito in una “torre libraria di ben 14 piani“. Proprio così: torre libraria. Non infierisco sulle dotazioni informatiche e di personale che rendono l’accesso a tanto ben di dio alquanto arduo, ma ecco, non vi sentireste anche voi un po’ intimoriti di fronte a tanto alta, fisicamente e simbolicamente, vetta da scalare? E una volta arrivati a comprenderne gli arcani, non provereste un qualche fastidio se qualcuno rendesse accessibile, quanto e più di quel ben di dio, senza le vostre bussole? E infine, trovandovi nel mezzo, e avendo appena iniziato a intuire come fare per raggiungere la cima, non restereste come un rocciatore senza appigli, se durante l’ascensione una copia della torre si proiettasse e spalmasse ai vostri piedi, tutta percorribile senza fatica, ma priva dell’ordine garantito da un piano sopra l’altro?

C’è poco da sorridere, perché la condizione di quello scalatore a metà arrampicata è condivisa da buona parte degli studenti, dei docenti, dei bibliotecari e degli editori, mentre la torre spalmata a terra è contesa tra chi vorrebbe, dall’alto dei suoi strapotenti mezzi, erigere tutt’intorno una siepe curata e fiorita (ma con i fiori più profumati accessibili solo a chi paga, e di più), mentre lei, la torre, quasi fosse un corpo vivente, si adatta, prende forma e autorganizza grazie a sparuti gruppi di volenterosi che hanno imparato, non soltanto i tesori che nascondeva, ma anche le tecniche con le quali erano stati progettati e costruiti.

Quei benemeriti non sono volontari improvvisati con il recondito obiettivo di smantellare conoscenze critiche che abbiamo impiegato secoli a distillare, non sono predicatori dell’indistinto che tutto livella con buona pace di etica ed estetica e giubilo dei piccoli fratelli nazionali, e non sono neppure degli ingenui, sciocchi esecutori del “think positive!” dei Big Brothers globali. Magari qualcuno sì, ma non ci occupiamo di quelli in questa sede. Trattasi invece, per lo più (e inizio a conoscerne molte e molti) di persone che hanno compreso quali potenzialità si dischiudono imparando il modo migliore per usare, insegnare, insegnare a usare, le tecnologie digitali. Ne volete un esempio? Guardatevi lo streaming di Librinnovando che portava il titolo “Insegnare con i bit”:  

In quella occasione è risultato palese come certe sommarie dicotomie – editori/lettori, docenti/studenti, carta/digitale – non solo siano obsolete, ma siano inefficaci a raccontare e raccogliere la straordinaria complessità rappresentata oggi dalla sfida che riguarda l’educazione e la didattica. Questa sfida è tra pensare, e iniziare a sperimentare un sistema dell’istruzione in grado di accogliere i veri nativi digitali quando, a breve, entreranno nelle aule, o restare a guardare, sfruttando per quanto possibile l’attuale situazione (e ciò vale per gli editori, per gli insegnanti, per gli studenti), o, peggio ancora, opporsi a tale processo da posizioni che  confondono le potenzialità del digitale con gli interessi che vi si celano dietro.

Nei ragionamenti compiuti il 28 aprile, invece, abbiamo potuto ascoltare Dianora Bardi, una insegnante che sperimenta, attraverso il digitale, un nuovo modo di fare didattica: usando computer, lavagne interattive, tablet (iPad, ma dice “non ci interessano le marche, ci interessa il cosa e come lo possiamo fare”); che non si sogna neppure di produrre “ilsuolibro”, ma è assai esigente con gli editori, dai quali vuole libri di qualità, utilizzabili per porzioni e con prezzi adeguati; che non indulge affatto sulla preparazione degli studenti, ma vuole guidarli nella ricerca di risorse e fonti autorevoli, nella elaborazione di un proprio percorso di apprendimento e nella produzione di materiali risultato del lavoro collettivo della classe. E a domanda risponde polemicamente a proposito degli insegnanti che appaiono impreparati a simili compiti: “non ci si può sottrarre a questa sfida; non conta l’età, né l’attitudine all’uso delle nuove tecnologie; chi fa questo lavoro deve considerare il suo aggiornamento altrettanto importante della formazione dei suoi allievi”.

Quello di Gino Baldi è stato un altro intervento importante del medesimo panel di Librinnovando, anche perché pronunciato dal responsabile digitale di Giunti, un gruppo leader nell’editoria scolastica italiana. In cima a una lista di quattro punti (ottima la sintesi di Marco Dominici, ma invito anche io a guardare il video), essenziali per governare il cambiamento che ben presto attraverserà il sistema educativo, Baldi indica la necessità di pensare e progettare ambienti di apprendimento in luogo di oggetti per l’apprendimento. Ambienti in cui sia possibile adattare i materiali (resi flessibili e granulari) a gruppi ed esperienze diverse, in cui la funzione editoriale si esplichi attraverso l’organizzazione di un servizio aperto e non più solo attraverso la fornitura di un prodotto chiuso.

Dunque, docenti preparati a guidare gli studenti nella complessità del mondo e ambienti autorevoli che consentano di interpretarlo e sperimentarlo nelle sue molteplici manifestazioni; abbiamo alcuni esempi degli uni e degli altri, quelli dei fiori a pagamento hanno risorse con le quali vanno veloci e nessuno sa ancora che forma avranno domani le torri.

L’immagine in apertura è tratta da qui.

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