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Autoregolamentazione

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Sarò diffidente, ma non mi piace.

Anzitutto perché dovremmo decidere cosa si intenda per autoregolamentazione (e la storia di questa pratica, in Italia, non è proprio edificante).

Poi, perché essa dovrebbe essere discussa e concordata con i diretti interessati, e al Ministero degli Interni ieri non c’era un blogger o un qualsivoglia rappresentante (ammesso che ci sia qualcuno legittimato a decidere per tutti) degli utenti della rete. Infatti, più correttamente, il Corriere titola “regolamentazione del web“.

Infine, perché porre nelle mani di pochi – governanti o imprenditori che siano – l’autorità per decidere buoni e cattivi contenuti può rapidamente condurre a stabilire chi siano i buoni e i cattivi utenti: e le liste dei cattivi non portano, come è noto, a nulla di buono.

Che si sia per ora rinunciato al “giro di vite” per colpire i social network, non vuol dire affatto che si siano abbandonati i progetti di controllo e limitazione della libertà in rete, basta scorrere le proposte di legge giacenti in parlamento (e l’Italia non è sola, si vedano le ambiguità contenute nel “pacchetto telecom” recentemente approvato dal Parlamento europeo).

La battaglia culturale sulla banda larga, per una nuova disciplina del diritto d’autore, per considerare la rete – e tutto ciò, anche di pessimo, che contiene – un bene comune irrinunciabile, è in pieno svolgimento.

Le ragioni per essere in Piazza del Popolo oggi alle 17 a Roma restano tutte: Libera rete in libero Stato.

Diritti della rete e tentazioni repressive

Numerosi esponenti del governo, durante la giornata di ieri, hanno invocato misure di controllo e repressione della rete:

“valutiamo di oscurare i siti internet che incitano alla violenza” (ministro Roberto Maroni), “la polizia postale controllerà i siti internet in cui si esalta l’aggressione di Massimo Tartaglia al premier per cercare di risalire agli eventuali responsabili della ‘campagna d’odio’ che corre sul web” (sottosegretario Mantovano), “oscurare i siti in cui si inneggia alla vigliacca aggressione subita dal presidente Silvio Berlusconi” (ministro Andrea Ronchi), “i social network (…) si sono trasformati in pericolose armi in mano a pochi delinquenti che, sfruttando l’anonimato, incitano alla violenza, all’odio sociale, alla sovversione” (parlamentare pdl Gabriella Carlucci).

Un al lupo al lupo dato in pasto alle agenzie e ai massimi organi di stampa, mentre centinaia di migliaia utenti di Facebook si trovavano iscritti loro malgrado, e senza avere ricevuto alcuna comunicazione, a gruppi la cui “ragione sociale” era stata trasformata nottetempo.

Eclatante il caso del gruppo “Solidarietà alle vittime del terremoto in Abruzzo”, cui erano iscritti circa due milioni di persone, che ha mutato il nome in “Solidarietà a Silvio Berlusconi”: furto di identità, utilizzazione illegittima delle opinioni politiche, un vero e proprio attentato contro la personalità di milioni di cittadini che si sono scoperti sostenitori del premier a propria insaputa.

Guido Scorza ne ha scritto puntualmente, e al suo post rinvio per un approfondimento, oltre che per condividere le istruzioni su come “procedere concretamente per reagire in relazione alla vicenda” (Scorza è avvocato e si occupa da anni di diritto della rete).

C‘è da augurarsi che ministri e parlamentari, nonché il Garante per la privacy e l’autorità giudiziaria, orientino la loro solerzia nel difendere i tanti cittadini truffati domenica notte, piuttosto che affannarsi a individuare sistemi per ridurre le libertà di espressione nella rete.

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