categorie: apprendere il futuro

Erasmus in villa e una buona notizia

Questa mattina inizieremo a girare per i parchi della città con le nostre idee e i nostri materiali elettorali. L’appuntamento è a Villa Celimontana alle 11, dove resteremo al pic-nic organizzato dai giovani di Erasmus On The Road.

I giovani che hanno partecipato o stanno svolgendo un’esperienza di studio in Europa sono tra i miei interlocutori privilegiati. Perché sono tra coloro che hanno attraversato i confini delle lingue e delle culture, che hanno imparato a mescolarle e a trarne vantaggio per sé e per i loro amici. Perché sono un piccolo simbolo dell’Europa che vorrei: aperta, colta, vitale, in grado di guardare al futuro.

A questi cittadini europei (150.000 ogni anno in giro per il vecchio continente) spiegherò le mie proposte per gli studenti; proposte che partono dall’Erasmus per costruire una rete di eurostudenti al passo con i tempi in cui viviamo. In sintesi le trovate nel flyer depositato qui.

La buona notizia riguarda la Siae. Durante il forum su “Diritto d’autore, Web e pirateria” svoltosi nei giorni scorsi a Palermo, il presidente Giorgio Assumma ha annunciato una nuova regolamentazione che consentirà agli autori di registrare in rete una propria opera anche a titolo gratuito. È una novità positiva, nell’unica direzione possibile: che la Siae se ne sia accorta lascia sperare bene per tutti coloro che sostengono le libertà digitali.

Un Corso di Laurea “messo a tacere”

Dal 2005 insegno “Economia e gestione delle imprese editoriali” all’Università di Tor Vergata. Il Corso, che fino al 2007 si è chiamato Laurea Specialistica in “Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo”, dal 2008 è divenuto Laurea Magistrale in “Informazione e sistemi editoriali”, come previsto dal nuovo ordinamento.

L’esperienza che ho avuto l’opportunità di vivere insegnando in questo Corso è stata spesso faticosa, sommandosi alla direzione della casa editrice, un lavoro per me già tanto impegnativo. È stata a volte divertente, quando con gli studenti abbiamo condiviso con intelligente ironia la capacità di osservare il mondo con occhio attento e critico. È stata sempre stimolante, ancor più quando avvertivo uno scarto tra quanto andavo raccontando e l’assenza di una partecipazione attiva durante le lezioni.

Ho scoperto la passione per la didattica, una pratica che solo marginalmente, e in contesti assai diversi, avevo frequentato in passato. Ne ho potuto apprezzare la continua sollecitazione a misurarsi con le proprie convinzioni, la necessità di imparare a comprendere per spiegare, il richiamo al rigore e alla sistemazione delle proprie idee ed esperienze: faccende utili per me, prima di poterlo diventare per gli studenti.
Ho anche potuto apprezzare e condividere, pur tra le molte difficoltà che ne hanno segnato la vita in questi anni, l’impegno con il quale il Corso è stato orientato e diretto, ponendo una costante attenzione agli studenti, ai loro bisogni ma più ancora ai loro diritti.

Non è dunque per caso che il Corso, nonostante la sua breve vita, abbia ottenuto risultati rilevanti: uno dei corsi migliori della Facoltà per numero di iscritti (551 in 4 anni), percentuale dei laureati (58,7% nel biennio 2006/2008, un dato superiore alla media nazionale), qualità della didattica.

Ci si aspetterebbe che la Facoltà investisse su un Corso con tali caratteristiche, per esempio impegnandosi a integrare e sostituire, con un maggior numero di insegnamenti di ruolo, l’eccessiva presenza di docenti “a contratto”, presenza peraltro necessaria a garantire quella pluralità di conoscenze, competenze, sguardi che una Laurea di secondo livello dovrebbe proporsi come vincolo irrinunciabile.
Invece accade il contrario. Il 6 maggio scorso, durante la riunione dei presidenti dei Corsi di Laurea, il Preside ha proposto di “mettere a tacere”, per il prossimo anno, “Informazione e sistemi editoriali”; e di annetterlo a quello di “Progettazione e gestione dei sistemi turistici” (la ragione di tale scelta ha il sapore di una beffa ulteriore; qui l’elenco di tutti i Corsi di Laurea Magistrale) a partire dall’a.a. 2010/2011.
La decisione, se non sarà scongiurata, verrà votata dal prossimo Consiglio di Facoltà, martedì 12 maggio.

Ecco, se ho scelto di accettare la candidatura con l’Idv è anche perché in Italia questo può divenire un evento nella norma, qualcosa di cui non stupirsi, per cui non indignarsi e ribellarsi. Qualcosa che, operando quotidianamente sulla nostra pelle, crea i presupposti per le “riforme” peggiori, i tagli indiscriminati, le astratte invocazioni di un merito perduto chissà dove. Ma un atto come questo funziona soprattutto come dispositivo che mortifica e assoggetta, facendo apparire vana ogni forma di resistenza; e rende la formula “mettere a tacere” sinistramente adeguata nel restituire il senso di precise scelte di politica culturale.

Il Papa e l’ora di religione

Ieri il Papa è tornato a parlare di insegnamento della religione nella scuola italiana, sostenendo che questo sia “un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un paese ha sempre bisogno”.

Ora, sorvoliamo sul fatto che uno “spirito positivo di laicità” dovrebbe prevedere, a pari condizioni, il non-insegnamento di “religione” e quello di confessioni diverse dalla cattolica.

Passiamo anche sopra al fatto che nel 2009 sarebbero molti gli insegnamenti utili da introdurre o potenziare nei programmi scolastici al pari, se non al posto, della religione: non solo quelli “tecnici”, cui si ispiravano le “tre I” della Moratti (inglese, internet, impresa), quanto quelli in grado di preparare al mondo come è – geografia politica, lingue e culture dei paesi non occidentali, educazione ambientale, ecc.

Trascuriamo pure (se ci riesce, in questi tempi di magra) sul fatto che i circa 25.000 insegnanti di religione che lavorano nella scuola pubblica italiana, pur essendo scelti dalla Conferenza Episcopale Italiana, sono retribuiti dallo Stato, con un costo, nel 2001, di 620 milioni di euro, quasi il 2% della spesa per il personale scolastico (fonte Wikipedia).

Ciò che proprio non si può fare è fingere di non vedere quanto sia, per usare un eufemismo, scarsamente apprezzato da ragazze e ragazzi questo insegnamento. Sappiamo tutti che esso viene da loro considerato alla stregua di “un’ora di buco”: un’ora durante la quale, se va bene, si parla di qualche tema di attualità, ma per lo più non si fa nulla…

Partiamo dall’enorme risorsa rappresentata dalle energie e dalla disponibilità dei giovani di investire nello studio e nel sapere, per stabilire i curricola scolastici, piuttosto che fare gli interessi di poteri che dovrebbero conquistare nuove anime con ben altri strumenti.

Università: quanto ci costa studiare

Poco più della metà degli iscritti all’Università italiana è in regola con il corso di studi. Il 47% è rappresentato da chi ha abbandonato, è fuori corso o ripetente e anche i laureati diminuiscono del 2%: per la prima volta da quando è in vigore il così detto 3+2 (fonte MUR).

Ma anche le immatricolazioni calano: per l’anno accademico 2008/09 -4,4% rispetto all’anno precedente. Solo il 67% dei diplomati (che invece aumentano) ha scelto di iscriversi all’università l’anno scorso, contro il 75% dell’anno prima.

Bamboccioni che restano a casa a far nulla (giacché il lavoro non è che abbondi, là fuori dalle aule accademiche…)? Fannulloni i professori che non riescono ad attrarli? Varrebbe la pena riflettere meglio su altri dati, per esempio il costo che affrontano le famiglie per gli studi universitari.

Tra il 2002 e il 2007, a fronte di un incremento del 22% (prima delle defezioni viste sopra), la spesa affrontata dagli studenti è passata da 1 miliardo e 100 milioni di euro a 2 miliardi e 79 milioni (l’89% in più). Di questi oltre 2 miliardi, una minima parte, 260 milioni, sono stati spesi per incrementare i servizi a favore degli studenti (borse di studio, prestiti, alloggi, ecc.).

Mentre si pontifica sulla necessità di mettersi al passo con i tempi (efficienza, competitività, ecc.) e si magnificano le virtù dell’innovazione (ma quale? in quale direzione?), si riducono le risorse, soprattutto quelle che, direi “naturalmente”, dovrebbero tornare, sotto forma di servizi e prestazioni ai legittimi destinatari.

Non c’è da stupirsi, dunque, se le decisioni assunte dal governo (contenute nella famigerata legge 133/2008) siano state vissute come la goccia che fa traboccare il vaso, e nell’autunno scorso si sia sollevata la ribellione degli studenti (e di molti docenti).

Aprirò un confronto su quanto sarà possibile fare, dal Parlamento europeo, per invertire scelte politiche nefaste, non solo per il sistema formativo e la ricerca, ma per il futuro stesso del nostro Paese: lo farò a partire da coloro che considero i primi interlocutori per qualsiasi intervento che riguardi l’università, gli studenti.

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