Università: quanto ci costa studiare

Poco più della metà degli iscritti all’Università italiana è in regola con il corso di studi. Il 47% è rappresentato da chi ha abbandonato, è fuori corso o ripetente e anche i laureati diminuiscono del 2%: per la prima volta da quando è in vigore il così detto 3+2 (fonte MUR).

Ma anche le immatricolazioni calano: per l’anno accademico 2008/09 -4,4% rispetto all’anno precedente. Solo il 67% dei diplomati (che invece aumentano) ha scelto di iscriversi all’università l’anno scorso, contro il 75% dell’anno prima.

Bamboccioni che restano a casa a far nulla (giacché il lavoro non è che abbondi, là fuori dalle aule accademiche…)? Fannulloni i professori che non riescono ad attrarli? Varrebbe la pena riflettere meglio su altri dati, per esempio il costo che affrontano le famiglie per gli studi universitari.

Tra il 2002 e il 2007, a fronte di un incremento del 22% (prima delle defezioni viste sopra), la spesa affrontata dagli studenti è passata da 1 miliardo e 100 milioni di euro a 2 miliardi e 79 milioni (l’89% in più). Di questi oltre 2 miliardi, una minima parte, 260 milioni, sono stati spesi per incrementare i servizi a favore degli studenti (borse di studio, prestiti, alloggi, ecc.).

Mentre si pontifica sulla necessità di mettersi al passo con i tempi (efficienza, competitività, ecc.) e si magnificano le virtù dell’innovazione (ma quale? in quale direzione?), si riducono le risorse, soprattutto quelle che, direi “naturalmente”, dovrebbero tornare, sotto forma di servizi e prestazioni ai legittimi destinatari.

Non c’è da stupirsi, dunque, se le decisioni assunte dal governo (contenute nella famigerata legge 133/2008) siano state vissute come la goccia che fa traboccare il vaso, e nell’autunno scorso si sia sollevata la ribellione degli studenti (e di molti docenti).

Aprirò un confronto su quanto sarà possibile fare, dal Parlamento europeo, per invertire scelte politiche nefaste, non solo per il sistema formativo e la ricerca, ma per il futuro stesso del nostro Paese: lo farò a partire da coloro che considero i primi interlocutori per qualsiasi intervento che riguardi l’università, gli studenti.